Nella vita familiare, una delle prove più difficili da affrontare è quella in cui la “cattiva notizia” – una diagnosi di cancro o di un’altra patologia grave – travolge gli equilibri della quotidianità. Da quel momento comincia un percorso che le scienze mediche hanno reso sempre più lungo, perché all’aumento dei tempi di vita in salute corrisponde anche il prolungamento del decorso di malattie un tempo inguaribili, compreso il loro periodo terminale. In Italia, il sostegno sociale per queste criticità dilatate è perlopiù affidato al volontariato e ai gruppi di mutuo-autoaiuto e, per quanto nel campo della psico-oncologia e dei servizi di educazione sanitaria siano stati raggiunti ragguardevoli risultati che mostrano come la consulenza centrata sulla soggettività della persona possa migliorare significativamente qualità e quantità della vita, sono ancora scarsamente presenti i servizi psicologici ed educativi all’interno dei reparti oncologici o di malattie degenerative gravi, a fronte del fatto che il mondo della medicina risulta essere, per quanto tecnicamente sempre più efficace nel perseguimento di propri obiettivi, estremamente carente nella presa in carico integrale del malato. A livello internazionale sono ormai numerosi gli studi che, nell’ambito delle Medical Humanities, valorizzano l’importanza del fattore relazionale, denunciando parallelamente l’incapacità dei medici di gestire i processi comunicativi con l’utenza . In questo articolo, in linea con la volontà di umanizzare l’intervento medico, a partire dai temi cruciali del consenso informato e del principio di autodeterminazione nei casi di fine-vita, si considera un aspetto specifico di siffatta inadeguatezza: la triangolazione in cui vengono invischiati i familiari dei malati gravi. Vogliamo infatti considerare in che senso accade che il medico gestisca in forma distorta anche la comunicazione con la famiglia, la quale si trova a dover elaborare, nel difficile percorso del “cordoglio anticipatorio”, il carico di responsabilità che riguarda la “cattiva notizia”. Intrappolati in questo eccessivo carico emotivo, infine i familiari colludono con la tendenza alla de-negazione dello stato di malattia del proprio congiunto e su questa distorsione si instaura lo stallo comunicativo consistente “la congiura del silenzio” che caratterizza la fase terminale della malattia.

La congiura del silenzio e la solitudine del dolore dopo la cattiva notizia. La triangolazione della famiglia nella relazione medico-paziente

TESTONI, INES
2009

Abstract

Nella vita familiare, una delle prove più difficili da affrontare è quella in cui la “cattiva notizia” – una diagnosi di cancro o di un’altra patologia grave – travolge gli equilibri della quotidianità. Da quel momento comincia un percorso che le scienze mediche hanno reso sempre più lungo, perché all’aumento dei tempi di vita in salute corrisponde anche il prolungamento del decorso di malattie un tempo inguaribili, compreso il loro periodo terminale. In Italia, il sostegno sociale per queste criticità dilatate è perlopiù affidato al volontariato e ai gruppi di mutuo-autoaiuto e, per quanto nel campo della psico-oncologia e dei servizi di educazione sanitaria siano stati raggiunti ragguardevoli risultati che mostrano come la consulenza centrata sulla soggettività della persona possa migliorare significativamente qualità e quantità della vita, sono ancora scarsamente presenti i servizi psicologici ed educativi all’interno dei reparti oncologici o di malattie degenerative gravi, a fronte del fatto che il mondo della medicina risulta essere, per quanto tecnicamente sempre più efficace nel perseguimento di propri obiettivi, estremamente carente nella presa in carico integrale del malato. A livello internazionale sono ormai numerosi gli studi che, nell’ambito delle Medical Humanities, valorizzano l’importanza del fattore relazionale, denunciando parallelamente l’incapacità dei medici di gestire i processi comunicativi con l’utenza . In questo articolo, in linea con la volontà di umanizzare l’intervento medico, a partire dai temi cruciali del consenso informato e del principio di autodeterminazione nei casi di fine-vita, si considera un aspetto specifico di siffatta inadeguatezza: la triangolazione in cui vengono invischiati i familiari dei malati gravi. Vogliamo infatti considerare in che senso accade che il medico gestisca in forma distorta anche la comunicazione con la famiglia, la quale si trova a dover elaborare, nel difficile percorso del “cordoglio anticipatorio”, il carico di responsabilità che riguarda la “cattiva notizia”. Intrappolati in questo eccessivo carico emotivo, infine i familiari colludono con la tendenza alla de-negazione dello stato di malattia del proprio congiunto e su questa distorsione si instaura lo stallo comunicativo consistente “la congiura del silenzio” che caratterizza la fase terminale della malattia.
2009
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