“La mappa [...] presuppone l’idea del racconto, è concepita come un itinerario. È un’odissea.” (Italo Calvino) Se vi va di giocare tra questo “mondo di carte”, vi renderete conto immediatamente che la mappa, anche quella che si spaccia per la più reale, non è la rappresentazione dei mondi così come sono, ma esattamente come li pensa l’uomo. Anche la più descrittiva rappresentazione si basa infatti sul “disegno in piano di parte o di tutta la superficie terrestre, simbolica, in scala è semplificata ed “approssimata” per definizione” (De Vecchis e Fatigati, 2016, p. 25). La logica simbolica cartografica è, in primo luogo, la logica dell’esclusione e della rinuncia. Dato che la sua funzione è quella della rappresentazione (e non è realtà) non afferrabile nella sua totalità (Farinelli, 1992) si riconosce alla mappa l’impossibilità di una cartografia esaustiva e l’ammissione di uno spazio bianco, di una contrazione sul foglio che fissa quello che il cartografo ritiene rilevante per rispondere ad una delle paure più pungenti dell’uomo: perdersi. Proprio queste imprecisioni, queste riduzioni, queste scelte fanno intravvedere un’incertezza, danno lo spazio per un’interpretazione soggettiva che diventa una narrazione per chi la percorre. Quindi se apparentemente le mappe inseguono i nostri spostamenti, in realtà servano a viaggiare nel cervello degli uomini e spesso ne sono lo specchio del loro cuore. La cartografia unisce lo spirito d’osservazione e d’immaginazione con il desiderio e l’azione di possesso, per cui l’osservazione di una carta geografica, oltre a suscitare memorie o fantasie di viaggio, propone considerazioni sul grado d’incidenza dell’azione del potere nella comprensione e nella costituzione del territorio. La mappa è nata, infatti, con l’esigenza di rendere esplicite le relazioni di potere (Dodge, Kitchin, Perkins, 2011) come se si rappresentasse oggettivamente il fatto geografico. Questo perché ogni carta è innanzitutto un progetto che guarda a trasformare la faccia della terra a propria immagine e somiglianza. Lo sforzo degli atlanti consiste quindi non più nel sorreggere il mondo ma, al contrario, nell’impedire che esso si allontani dalle nostre possibilità sensibili (Farinelli, 1992). Hall (2004) riprende questo ragionamento e ci conduce a riflettere sul fatto che ciascuno ha una geografia propria in quanto è presente nell’uomo un istinto personale che produce l’atto di cartografare: attraverso il disegno si arriva a costruire la nostra mappa che ci permette di affermare la nostra presenza nel mondo. L’allestimento tematico di atlanti del fondo della biblioteca del Dipartimento Formazione e Apprendimento della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana3 che qui si propone è diviso in otto sezioni che scorrono, una dopo l’altra, con l’idea che “non esiste una carta obiettiva buona per tutti gli usi in quanto la carta è firmata e i loro autori non sono in realtà i cartografi ma i loro committenti: monarchi, prelati, strateghi, politici, burocrati. Ognuno vuole la “propria” rappresentazione dello spazio, un continente, un universo indirizzato ai propri fini, con una centralità ben individuabile” (Antonelliana, 1983, p. 16). Il cammino tra gli atlanti evidenzia come il linguaggio cartografico nella sua storia si sia scomposto, creando linguaggi diversi anche se sempre composti di “parole mute” che hanno dato vita a vere e proprie lingue cartografiche con strutture singolari che, con un progressivo raffinamento, rappresentano sempre più se stesse che la realtà in quanto nella rappresentazione si realizza meglio il proprio “itinerario”, il proprio “pensiero”, il proprio “immaginario” rappresentando il mondo e il suo disegno, il pensiero e la sua inventività.

Atlanti. Un mondo di carte

Lorena Rocca
2019

Abstract

“La mappa [...] presuppone l’idea del racconto, è concepita come un itinerario. È un’odissea.” (Italo Calvino) Se vi va di giocare tra questo “mondo di carte”, vi renderete conto immediatamente che la mappa, anche quella che si spaccia per la più reale, non è la rappresentazione dei mondi così come sono, ma esattamente come li pensa l’uomo. Anche la più descrittiva rappresentazione si basa infatti sul “disegno in piano di parte o di tutta la superficie terrestre, simbolica, in scala è semplificata ed “approssimata” per definizione” (De Vecchis e Fatigati, 2016, p. 25). La logica simbolica cartografica è, in primo luogo, la logica dell’esclusione e della rinuncia. Dato che la sua funzione è quella della rappresentazione (e non è realtà) non afferrabile nella sua totalità (Farinelli, 1992) si riconosce alla mappa l’impossibilità di una cartografia esaustiva e l’ammissione di uno spazio bianco, di una contrazione sul foglio che fissa quello che il cartografo ritiene rilevante per rispondere ad una delle paure più pungenti dell’uomo: perdersi. Proprio queste imprecisioni, queste riduzioni, queste scelte fanno intravvedere un’incertezza, danno lo spazio per un’interpretazione soggettiva che diventa una narrazione per chi la percorre. Quindi se apparentemente le mappe inseguono i nostri spostamenti, in realtà servano a viaggiare nel cervello degli uomini e spesso ne sono lo specchio del loro cuore. La cartografia unisce lo spirito d’osservazione e d’immaginazione con il desiderio e l’azione di possesso, per cui l’osservazione di una carta geografica, oltre a suscitare memorie o fantasie di viaggio, propone considerazioni sul grado d’incidenza dell’azione del potere nella comprensione e nella costituzione del territorio. La mappa è nata, infatti, con l’esigenza di rendere esplicite le relazioni di potere (Dodge, Kitchin, Perkins, 2011) come se si rappresentasse oggettivamente il fatto geografico. Questo perché ogni carta è innanzitutto un progetto che guarda a trasformare la faccia della terra a propria immagine e somiglianza. Lo sforzo degli atlanti consiste quindi non più nel sorreggere il mondo ma, al contrario, nell’impedire che esso si allontani dalle nostre possibilità sensibili (Farinelli, 1992). Hall (2004) riprende questo ragionamento e ci conduce a riflettere sul fatto che ciascuno ha una geografia propria in quanto è presente nell’uomo un istinto personale che produce l’atto di cartografare: attraverso il disegno si arriva a costruire la nostra mappa che ci permette di affermare la nostra presenza nel mondo. L’allestimento tematico di atlanti del fondo della biblioteca del Dipartimento Formazione e Apprendimento della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana3 che qui si propone è diviso in otto sezioni che scorrono, una dopo l’altra, con l’idea che “non esiste una carta obiettiva buona per tutti gli usi in quanto la carta è firmata e i loro autori non sono in realtà i cartografi ma i loro committenti: monarchi, prelati, strateghi, politici, burocrati. Ognuno vuole la “propria” rappresentazione dello spazio, un continente, un universo indirizzato ai propri fini, con una centralità ben individuabile” (Antonelliana, 1983, p. 16). Il cammino tra gli atlanti evidenzia come il linguaggio cartografico nella sua storia si sia scomposto, creando linguaggi diversi anche se sempre composti di “parole mute” che hanno dato vita a vere e proprie lingue cartografiche con strutture singolari che, con un progressivo raffinamento, rappresentano sempre più se stesse che la realtà in quanto nella rappresentazione si realizza meglio il proprio “itinerario”, il proprio “pensiero”, il proprio “immaginario” rappresentando il mondo e il suo disegno, il pensiero e la sua inventività.
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