Nell’arco di Novecento che va dalla fine della seconda guerra mondiale al miracolo economico e quindi al Sessantotto, in Italia entrano in crisi i tradizionali valori e modelli in ambito sociale e in particolare dentro la famiglia. In questo periodo si coglie un contrasto tra la quasi totale assenza delle donne nello spazio pubblico da un lato e, dall’altro, la forte presenza femminile nelle copertine e nelle pubblicità dei giornali, nei fotoromanzi e più in generale nei media. Ma cosa c’era dietro l’immagine della casalinga tutta tacchi e bigodini delle pagine patinate dell’epoca, artefice più o meno consapevole dei cambiamenti a cui la società italiana stava andando incontro? La cosiddetta «piccola posta» inviata dalle lettrici alle rubriche dei loro settimanali preferiti rappresenta l’angolatura da cui si guarda per rispondere a questa suggestione. Si può dire che questo spazio rappresentasse una sorta di «confessionale pubblico»; in un periodo di crescente secolarizzazione della società italiana. Per secoli le donne si erano confrontate con il loro confessore, in un dialogo a due che avveniva entro uno schema codificato di obblighi e penitenze, comportamenti e gerarchie. Ora le donne cominciano a uscire dalla sfera privata parlando pubblicamente della propria vita attraverso le lettere indirizzate alle redazioni dei loro rotocalchi o fotoromanzi preferiti. Qualcuno ora le ascolta. Si tratta spesso di altre donne: giornaliste come confessori laici che nella veste di amiche osservano con il giusto distacco ma anche con partecipazione. Le lettere sono scritture intime, destinate tuttavia a diventare pubbliche perché inserite all’interno di riviste a tiratura nazionale. Costituiscono l’esempio di una scrittura di persone comuni che attraverso le proprie vicende offrono un quadro d’insieme che aiuta a comprendere quegli anni della nostra storia. Rendono vivi i desideri, i sentimenti d’amore e di odio, vicende intrise di materialità e pulsioni fisiche, che si distaccano dalla storia delle istituzioni e dalla politica, pur essendone profondamente intrise, perché le autrici sono donne che vivono in un contesto socio-istituzionale con cui devono venire a patti e che molto spesso comincia a star loro stretto. La rubrica ha permesso alle donne di mostrare diversi modi di vivere, oppure al contrario che le loro esperienze individuali erano comuni ad altre, ponendo in tal modo le premesse per le rivendicazioni successive. Grazie alla «piccola posta» le donne si sono potute confrontare sulle proprie pratiche di vita, sui propri modelli di comportamento, sulle proprie idee; a questa «fase preparatoria» è seguita negli anni successivi, l’azione vera e propria: nelle manifestazioni per i diritti, nei collettivi e più in generale nella vita pubblica.
Un confessionale in pubblico. La «piccola posta» nei settimanali femminili
ENDRIGHETTI, FRANCESCA
2015
Abstract
Nell’arco di Novecento che va dalla fine della seconda guerra mondiale al miracolo economico e quindi al Sessantotto, in Italia entrano in crisi i tradizionali valori e modelli in ambito sociale e in particolare dentro la famiglia. In questo periodo si coglie un contrasto tra la quasi totale assenza delle donne nello spazio pubblico da un lato e, dall’altro, la forte presenza femminile nelle copertine e nelle pubblicità dei giornali, nei fotoromanzi e più in generale nei media. Ma cosa c’era dietro l’immagine della casalinga tutta tacchi e bigodini delle pagine patinate dell’epoca, artefice più o meno consapevole dei cambiamenti a cui la società italiana stava andando incontro? La cosiddetta «piccola posta» inviata dalle lettrici alle rubriche dei loro settimanali preferiti rappresenta l’angolatura da cui si guarda per rispondere a questa suggestione. Si può dire che questo spazio rappresentasse una sorta di «confessionale pubblico»; in un periodo di crescente secolarizzazione della società italiana. Per secoli le donne si erano confrontate con il loro confessore, in un dialogo a due che avveniva entro uno schema codificato di obblighi e penitenze, comportamenti e gerarchie. Ora le donne cominciano a uscire dalla sfera privata parlando pubblicamente della propria vita attraverso le lettere indirizzate alle redazioni dei loro rotocalchi o fotoromanzi preferiti. Qualcuno ora le ascolta. Si tratta spesso di altre donne: giornaliste come confessori laici che nella veste di amiche osservano con il giusto distacco ma anche con partecipazione. Le lettere sono scritture intime, destinate tuttavia a diventare pubbliche perché inserite all’interno di riviste a tiratura nazionale. Costituiscono l’esempio di una scrittura di persone comuni che attraverso le proprie vicende offrono un quadro d’insieme che aiuta a comprendere quegli anni della nostra storia. Rendono vivi i desideri, i sentimenti d’amore e di odio, vicende intrise di materialità e pulsioni fisiche, che si distaccano dalla storia delle istituzioni e dalla politica, pur essendone profondamente intrise, perché le autrici sono donne che vivono in un contesto socio-istituzionale con cui devono venire a patti e che molto spesso comincia a star loro stretto. La rubrica ha permesso alle donne di mostrare diversi modi di vivere, oppure al contrario che le loro esperienze individuali erano comuni ad altre, ponendo in tal modo le premesse per le rivendicazioni successive. Grazie alla «piccola posta» le donne si sono potute confrontare sulle proprie pratiche di vita, sui propri modelli di comportamento, sulle proprie idee; a questa «fase preparatoria» è seguita negli anni successivi, l’azione vera e propria: nelle manifestazioni per i diritti, nei collettivi e più in generale nella vita pubblica.Pubblicazioni consigliate
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