L’elemento genetico, costitutivo dell’ordinamento giuridico, è rappresentato dalle azioni umane. Ad esse dà espressione il Diritto, che non può essere mai in contraddizione con il dato morale, dal momento che al centro dell’esperienza giuridica si colloca la persona. Essa implica, per definizione, situazioni soggettive di libertà, che si traducono in autonomia e nella sua conseguenza, per così dire, più radicale e definitiva, quale è la responsabilità. Altro è - o, comunque, può essere - il diritto positivo, il quale appariva a Silvio Trentin allora, ed appare oggi, dotato della caratteristica “di essere estremamente mobile e vario, di aderire ai fatti, quali che siano, e di seguirne, docile, le incessanti vicissitudini, di non rifiutare neppure di ridursi a volte ad una semplice sovrastruttura, ad un epifenomeno innestato nella brutale realtà della vita economica, per quanto sfrenate ne siano le manifestazioni”. Nella assolutezza del diritto positivo credono “gli adoratori dei testi”, per i quali il diritto è coercizione: è disciplina della sudditanza. Tuttavia, non è questa una teoria giuridica compatibile né con lo Stato di diritto né tanto meno con lo Stato costituzionale. Se hanno carattere fondativo i valori e non le proposizioni normative colte nella loro letteralità, il potere diviene servizio, perché è a servizio della persona. I valori sono tali, se danno espressione all’idea e al senso di giustizia attraverso l’interpretazione. La quale concorre a precisare le linee essenziali e costitutive di un ordinamento proiettando nella quotidianità ciò che l’interprete - l’uomo qualunque, l’avvocato, il giudice, le istituzioni nel loro insieme - è: nella sua fisicità e sul piano psicologico. Attraverso l’interpretazione si elaborano i concetti, che danno forma e sostanza a un ordinamento, perché lo identificano e lo definiscono. I concetti, la cui funzione “è di permetterci di cogliere, di controllare, di identificare i lineamenti essenziali e formali del reale, di metterci in grado di renderci conto, di ciò che è il contenuto della realtà, il suo principio intrinseco”. Dunque, “il concetto deve… aderire al fatto e seguirne gli incessanti cambiamenti”: lo sviluppo della persona umana e le sue attese, nell’ambito di una teoria dello Stato dominata dall’idea di cittadinanza. Silvio Trentin impone una rilettura della Costituzione. Innanzi tutto, degli artt. 2 e 5, che vanno depurati di ogni residuo giacobino. Infatti, l’autonomia è una “prerogativa dell’essere di sopravvivere come entità irriducibile”, cui il coordinamento si riporta quale relazione dinamica “tra soggetti autonomi”. Tutto ciò corrisponde ad un’insopprimibile idea di libertà, resa esplicita da François Gény, quando gli ha riconosciuto una “energia morale indomabile”: propria di chi considerava il grande Leviatano soltanto alla stregua di un “regime delle autonomie”. Che è espressione di quel che s’intende, in ultima analisi, per federalismo.
Libertà e "ordine delle autonomie". La lezione di Silvio Trentin
BERTOLISSI, MARIO
2010
Abstract
L’elemento genetico, costitutivo dell’ordinamento giuridico, è rappresentato dalle azioni umane. Ad esse dà espressione il Diritto, che non può essere mai in contraddizione con il dato morale, dal momento che al centro dell’esperienza giuridica si colloca la persona. Essa implica, per definizione, situazioni soggettive di libertà, che si traducono in autonomia e nella sua conseguenza, per così dire, più radicale e definitiva, quale è la responsabilità. Altro è - o, comunque, può essere - il diritto positivo, il quale appariva a Silvio Trentin allora, ed appare oggi, dotato della caratteristica “di essere estremamente mobile e vario, di aderire ai fatti, quali che siano, e di seguirne, docile, le incessanti vicissitudini, di non rifiutare neppure di ridursi a volte ad una semplice sovrastruttura, ad un epifenomeno innestato nella brutale realtà della vita economica, per quanto sfrenate ne siano le manifestazioni”. Nella assolutezza del diritto positivo credono “gli adoratori dei testi”, per i quali il diritto è coercizione: è disciplina della sudditanza. Tuttavia, non è questa una teoria giuridica compatibile né con lo Stato di diritto né tanto meno con lo Stato costituzionale. Se hanno carattere fondativo i valori e non le proposizioni normative colte nella loro letteralità, il potere diviene servizio, perché è a servizio della persona. I valori sono tali, se danno espressione all’idea e al senso di giustizia attraverso l’interpretazione. La quale concorre a precisare le linee essenziali e costitutive di un ordinamento proiettando nella quotidianità ciò che l’interprete - l’uomo qualunque, l’avvocato, il giudice, le istituzioni nel loro insieme - è: nella sua fisicità e sul piano psicologico. Attraverso l’interpretazione si elaborano i concetti, che danno forma e sostanza a un ordinamento, perché lo identificano e lo definiscono. I concetti, la cui funzione “è di permetterci di cogliere, di controllare, di identificare i lineamenti essenziali e formali del reale, di metterci in grado di renderci conto, di ciò che è il contenuto della realtà, il suo principio intrinseco”. Dunque, “il concetto deve… aderire al fatto e seguirne gli incessanti cambiamenti”: lo sviluppo della persona umana e le sue attese, nell’ambito di una teoria dello Stato dominata dall’idea di cittadinanza. Silvio Trentin impone una rilettura della Costituzione. Innanzi tutto, degli artt. 2 e 5, che vanno depurati di ogni residuo giacobino. Infatti, l’autonomia è una “prerogativa dell’essere di sopravvivere come entità irriducibile”, cui il coordinamento si riporta quale relazione dinamica “tra soggetti autonomi”. Tutto ciò corrisponde ad un’insopprimibile idea di libertà, resa esplicita da François Gény, quando gli ha riconosciuto una “energia morale indomabile”: propria di chi considerava il grande Leviatano soltanto alla stregua di un “regime delle autonomie”. Che è espressione di quel che s’intende, in ultima analisi, per federalismo.Pubblicazioni consigliate
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