L'opera ha come obiettivo la ricerca di un ruolo per il principio di cui all'art. 10, L. 212/2000, in particolare se esso possa integrare con peculiari doveri la disciplina del rapporto tra amministrazione e contribuente. A tal fine, si esamina il principio di cui all'art. 97 Cost.: esso può avere una diretta precettività, dando fondamento a regole di condotta amministrativa orientate alla solidarietà, quali i doveri di contraddittorio, trasparenza, tutela dell'affidamento, informazione, chiarezza e motivazione. Emerge una sovrapposizione tra regole derivanti dai principi fondamentali del diritto amministrativo e quelle ritraibili dalla buona fede: questa sovrapposizione dimostra una convergenza, anche in campo tributario, delle scelte ordinamentali solidaristiche immanenti nell'art. 97 Cost. fornendo una guida per l'interpretazione. Si osserva come emerga altresì una peculiare valenza del principio, tipica delle clausole generali, nel precisare, attraverso il riferimento agli standards di condotta, i comportamenti concreti conformi a correttezza. Detti comportamenti si impongono ai funzionari in base alle reali esigenze del caso concreto, alla luce di criteri di buon senso. Si esamina quindi come il richiamo alla buona fede abbia influito sulle soluzioni di vari problemi come i limiti alla rettificabilità della dichiarazione, la doverosità dell'autotutela, l'estensione del giudicato ai coobbligati, impedendo che ragioni formali ostacolino un'imposizione secondo capacità contributiva e se ne traggono conseguenze applicative, in particolare con riguardo all'obbligo dell'amministrazione di tenere conto di elementi a favore del contribuente. Nel Cap. II sono esaminati gli sviluppi di giurisprudenza e dottrina civilistiche in tema di buona fede (nonché la persistente attualità dell'exceptio doli generalis romanistica), individuandone una funzione "correttiva" rispetto ad una condotta astrattamente conforme al comando legislativo ma sostanzialmente scorretta, quindi abusiva, sicché si deve negare effetti a tale comportamento o rimediare alle sue conseguenze. Simili potenzialità sono colte nel diritto amministrativo, dimostrandosi come la buona fede tenda ad esplicare detta funzione correttiva a prescindere dal sistema in cui opera. Pertanto la ricerca mira, in particolare esaminando giurisprudenza e prassi tributarie, a verificare se siano riconoscibili applicazioni della buona fede correttiva. Benché non sempre tale ruolo sia facilmente identificabile, si ritiene di riconoscerne le tracce e così se ne analizzano le potenzialità, presentando diverse ipotesi applicative e vagliandone la compatibilità con le peculiarità del sistema fiscale. Il Cap. III é dedicato al tema dell'affidamento. Dopo un'analisi della ratio e dell’ambito applicativo dell'art. 10 L. 212/2000, si esamina la dottrina secondo la quale, in alcuni casi, se il contribuente abbia confidato in indicazioni ufficiali, il principio di tutela dell'affidamento impone di non recuperare il tributo in caso di revirement. Si impiega la funzione correttiva della buona fede per individuare ulteriori ipotesi di tutela piena. Il divieto di venire contra factum proprium è poi invocato per escludere la possibilità dell'Amministrazione finanziaria di rivedere la determinazione da essa fatta del rapporto tributario, anche se fissata in atti atipici, in base ad una mera rivalutazione del materiale disponibile al momento di tale determinazione. In tale ambito si analizza il complesso tema dell'affidamento con riguardo alle informazioni reperibili in rete ed all'utilizzo dei programmi informatici ministeriali per l'adempimento spontaneo degli obblighi tributari. Nel Cap. IV, si esamina la buona fede come dovere del contribuente, verificando se essa possa fondare una clausola generale antielusiva. Si ritiene che la collocazione procedimentale della buona fede statutaria, attuativa degli arti. 23 e 53 Cost., implicando un bilanciamento tra certezza del diritto e giusta imposizione, ne impedisca un impiego automatico in detta funzione antielusiva. Quanto alla buona fede come fonte di obblighi di collaborazione nella fase di indagine, si distingue tra quella legata alla soggezione ai poteri istruttori, quella difensiva ed una collaborazione attiva, tipica dei doveri solidaristici di correttezza, ritenendo non convincente porre a carico del privato doveri di protezione del soggetto pubblico, nell'ambito di un procedimento tuttora autoritativo, mentre aperture sono prospettabili riguardo ai procedimenti caratterizzati dalla partecipazione, come l'accertamento con adesione.
Il principio di buona fede nel rapporto tributario
TRIVELLIN, MAURO
2009
Abstract
L'opera ha come obiettivo la ricerca di un ruolo per il principio di cui all'art. 10, L. 212/2000, in particolare se esso possa integrare con peculiari doveri la disciplina del rapporto tra amministrazione e contribuente. A tal fine, si esamina il principio di cui all'art. 97 Cost.: esso può avere una diretta precettività, dando fondamento a regole di condotta amministrativa orientate alla solidarietà, quali i doveri di contraddittorio, trasparenza, tutela dell'affidamento, informazione, chiarezza e motivazione. Emerge una sovrapposizione tra regole derivanti dai principi fondamentali del diritto amministrativo e quelle ritraibili dalla buona fede: questa sovrapposizione dimostra una convergenza, anche in campo tributario, delle scelte ordinamentali solidaristiche immanenti nell'art. 97 Cost. fornendo una guida per l'interpretazione. Si osserva come emerga altresì una peculiare valenza del principio, tipica delle clausole generali, nel precisare, attraverso il riferimento agli standards di condotta, i comportamenti concreti conformi a correttezza. Detti comportamenti si impongono ai funzionari in base alle reali esigenze del caso concreto, alla luce di criteri di buon senso. Si esamina quindi come il richiamo alla buona fede abbia influito sulle soluzioni di vari problemi come i limiti alla rettificabilità della dichiarazione, la doverosità dell'autotutela, l'estensione del giudicato ai coobbligati, impedendo che ragioni formali ostacolino un'imposizione secondo capacità contributiva e se ne traggono conseguenze applicative, in particolare con riguardo all'obbligo dell'amministrazione di tenere conto di elementi a favore del contribuente. Nel Cap. II sono esaminati gli sviluppi di giurisprudenza e dottrina civilistiche in tema di buona fede (nonché la persistente attualità dell'exceptio doli generalis romanistica), individuandone una funzione "correttiva" rispetto ad una condotta astrattamente conforme al comando legislativo ma sostanzialmente scorretta, quindi abusiva, sicché si deve negare effetti a tale comportamento o rimediare alle sue conseguenze. Simili potenzialità sono colte nel diritto amministrativo, dimostrandosi come la buona fede tenda ad esplicare detta funzione correttiva a prescindere dal sistema in cui opera. Pertanto la ricerca mira, in particolare esaminando giurisprudenza e prassi tributarie, a verificare se siano riconoscibili applicazioni della buona fede correttiva. Benché non sempre tale ruolo sia facilmente identificabile, si ritiene di riconoscerne le tracce e così se ne analizzano le potenzialità, presentando diverse ipotesi applicative e vagliandone la compatibilità con le peculiarità del sistema fiscale. Il Cap. III é dedicato al tema dell'affidamento. Dopo un'analisi della ratio e dell’ambito applicativo dell'art. 10 L. 212/2000, si esamina la dottrina secondo la quale, in alcuni casi, se il contribuente abbia confidato in indicazioni ufficiali, il principio di tutela dell'affidamento impone di non recuperare il tributo in caso di revirement. Si impiega la funzione correttiva della buona fede per individuare ulteriori ipotesi di tutela piena. Il divieto di venire contra factum proprium è poi invocato per escludere la possibilità dell'Amministrazione finanziaria di rivedere la determinazione da essa fatta del rapporto tributario, anche se fissata in atti atipici, in base ad una mera rivalutazione del materiale disponibile al momento di tale determinazione. In tale ambito si analizza il complesso tema dell'affidamento con riguardo alle informazioni reperibili in rete ed all'utilizzo dei programmi informatici ministeriali per l'adempimento spontaneo degli obblighi tributari. Nel Cap. IV, si esamina la buona fede come dovere del contribuente, verificando se essa possa fondare una clausola generale antielusiva. Si ritiene che la collocazione procedimentale della buona fede statutaria, attuativa degli arti. 23 e 53 Cost., implicando un bilanciamento tra certezza del diritto e giusta imposizione, ne impedisca un impiego automatico in detta funzione antielusiva. Quanto alla buona fede come fonte di obblighi di collaborazione nella fase di indagine, si distingue tra quella legata alla soggezione ai poteri istruttori, quella difensiva ed una collaborazione attiva, tipica dei doveri solidaristici di correttezza, ritenendo non convincente porre a carico del privato doveri di protezione del soggetto pubblico, nell'ambito di un procedimento tuttora autoritativo, mentre aperture sono prospettabili riguardo ai procedimenti caratterizzati dalla partecipazione, come l'accertamento con adesione.Pubblicazioni consigliate
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